© Virginio Levrio, Ouverture
Raccontare la vita di Van Gogh attraverso le sue numerose lettere scritte al fratello, ai parenti e agli amici, è un ottimo modo per approcciare una figura molto complessa che in una manciata di anni ha sconvolto la storia dell’arte.
Il parallelismo tra la vita del pittore e quella dei tanti personaggi che animano il Café Chantant parigino è anche interessante perché mette al centro dell’opera dell’artista il suo vissuto emotivo. Van Gogh riassume in sé le tante tribolazioni e difficoltà che segnano la vita della variegata umanità che popola il locale.
Viene dato molto peso alle canzoni d’autore francesi, tutte molto ben suonate e cantate, al punto che lo spettacolo ha un doppio binario: uno più didascalico nel quale vengono presentate esperienze e quadri del pittore, l’altro prettamente musicale.
Non sempre risulta chiaro questo intreccio e lo spettatore, soprattutto se non ferrato sull’opera di Van Gogh, potrebbe perdersi. L’olandese ha vissuto a Parigi dove ha tratto grandi stimoli da impressionismo e puntinismo, ma meno di Toulouse Lautrec (che lo ritrasse!), di Degas e forse dello stesso Manet, ha dato peso nei suoi quadri alla vita notturna parigina. Il Café Chantant da questo punto di vista è quasi sovraesposto rispetto alla reale vita di Van Gogh.
Il cast è ottimo, l’orchestra impeccabile e il corpo di ballo incisivo. Ho trovato interessanti alcuni quadri scenici di movimento molto moderni, alla Momix per capirci. Le citazioni pittoriche, per un appassionato d’arte come me, sono toccanti, dallo struggente Mangiatori di patate fino al trionfo cosmico della Notte stellata.