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Ironico, tagliente, amaro, allegro. In una parola: inafferrabile. Come un salmone che risale la corrente e non si riesce ad acchiappare a mani nude. “Pornostalgia”, il sesto album in carriera di Willie Peyote, primo dopo aver calcato il palco dell’Ariston di Sanremo nel 2021 con il brano “Mai dire mai (la locura)”, è un album rap e personale in cui, però, è possibile rispecchiarsi per le diverse tematiche affrontate.
Fra pubblico e privatoIl disco, a partire dalla copertina che nasce dalla locandina di un film degli anni ’70, si presenta subito come la prosecuzione, ma anche il contraltare del precedente “Iodegradabile” come ha raccontato Willie Peyote nella nostra intervista. “In questi anni, in cui tutto si è fermato, ci siamo ritrovati a guardare indietro vecchi film e libri, con nostalgia. È un momento in cui mi sembra che il concetto di nostalgia sia molto presente. Forse, avendo meno certezze sul futuro cerchiamo rassicurazioni dal passato”, dice il rapper.
È un disco libero, che non risponde a logiche di mercato e soprattutto intriso di un pensiero e di un’analisi indipendente. Uno sguardo lucido sempre in bilico fra narrazione pubblica e dimensione privata. Una delle tracce simbolo, non è un caso, è “Robespierre”: un brano che racconta quello che Willie ha vissuto in questi due anni. “Io non sono il portavoce di nessuno, non mi prendo la responsabilità di parlare per gli altri. Io dico le mie cose, se sei d’accordo o meno va bene lo stesso”, con queste parole presenta il pezzo. C’è la volontà di esplorare nuovi territori sonori, ma anche quella di tornare a un rap più crudo e realizzato su basi elettroniche.
Inni alternativiL’album di apre con “Ufo”, uno schiaffo serrato in cui l’artista si tuffa di testa anche in temi sociali e politici: “ieri era la pandemia, oggi sulla guerra, tutti dicono tutto senza alla fine dire niente, parlo dell’attivismo performativo, delle multinazionali che cambiano il colore del logo in base all’argomento del momento”, racconta Willie. La seconda traccia, “Fare schifo”, è un inno alternativo: “mi girava in testa da quando Aimone Romizi sul palco del Primo Maggio (dove ci esibivamo insieme cantando gli Skiantos) disse che fare schifo è un imperativo morale. Nella società della performance c’è la corsa al risultato, a essere bravi, belli, sicuri di sé. Fare schifo, accettare anche di non essere perfetti, di non avere voglia, di essere tristi e incazzati anche senza magari un vero motivo, potrebbe essere davvero una via rivoluzionaria”, sottolinea il rapper.
La musica come un’osteriaUn brano riuscito è senz’altro “All you can hit”, una traccia rap dove il rapper torinese racconta il suo rapporto con il mercato musicale che vede come un “all you can eat di sushi”, dove l’importante è che ci sia tanto da mangiare a poco prezzo, al di là quindi del vero valore di quello che si consuma. “Per me la musica invece è più un’osteria, il gusto della tradizione, qualcosa di più reale”, dice Willie. “Il furto della passione” è un’altra canzone che funziona: la metafora calcistica viene applicata ai rapporti personali. Emanuela Fanelli in “Risarcimento skit” risponde alle parole di Willie. La traccia che chiude l’album, “Sempre lo stesso film”, è una lettera, uno sfogo a un amico: “a cui purtroppo non avrò più modo di parlare perché non è più con me. Sono stati due anni difficili, dove ogni giorno sembrava la replica del precedente, sempre lo stesso film, anche se il film a cui faccio riferimento è una delle pellicole a cui sono più legato, per tanti motivi”, conclude Willie.
(Articolo originale su Rockol.it)
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