Elodie su Prime: perché la musica oggi si racconta con le serie

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"Sento ancora la vertigine" è la miniserie in tre episodi grazie a cui i fan di Elodie e i curiosi potranno scoprire il dietro le quinte della sua partecipazione a Sanremo. Basta un’oretta o poco più e un abbonamento a Prime Video per godersi questo documentario spezzettato in tre parti, ma la cui vera natura sembra più essere quella di un film vero e proprio, che magari con qualche materiale in più sarebbe anche finito al cinema.

Un documentario che vanta una produzione di un certo prestigio: dietro al progetto ad Amazon c’è Groenlandia, casa di produzione fondata nel 2014 dai registi Matteo Rovere e Sydney Sibilia. Quel poco di sperimentazione e capacità di osare che si è vista negli ultimi anni su piccolo e grande schermo italiano sono venute in gran parte da questi lidi.

Se non avete voglia di vedere "Sento ancora la vertigine" ma siete curiosi di sapere qualcosa riguardo ai suoi contenuti potete dare un’occhiata questo pezzo di Claudio Cabona in cui vengono riassunti i più succosi retroscena dell’ultima partecipazione sanremese di Elodie, con tanto di rapporto non semplicissimo con la canzone portata in gara, "Due".

Perché guardare Sento ancora la vertigine

Se invece siete indecisi se dare una chance o meno a questa produzione, poniamoci la domanda: vale la pena di guardare "Sento ancora la vertigine"? Vale la pena di passare un’ora a stretto contatto con Elodie e il suo team, forse l’entità più vicina a una popstar che abbiamo nel 2023 in Italia? La risposta dipende ovviamente dal vostro interesse nei confroti del tema.

Se siete fan di Elodie, l’avete probabilmente già visto, rimontato in qualche fancam in formato quadrato o verticale, da spammare nelle reply su Twitter o su TikTok. C’è poi una certa fetta di pubblico molto social e queer (quelli che hanno preso al day one i biglietti per il concerto al Forum di Assago del 12 maggio) che ama la personalità espansiva, diretta e talvolta strabordante della protagonista. Un pubblico che va a nozze con questo tipo di contenuto onesto ma al contempo filtrato e curato, che dà una sensazione di familiarità, con un minimo di conflitto ma senza il tedio delle parti noiose che la vita vera regala in grande quantità. Ancor prima di pigiare play avevo visto in almeno tre tweet diversi la memorabile clip di Elodie che dice ai suoi collaboratori di volere fare Sanremo 2023 con l’atteggiamento da puttana, dall’inizio alla fine. Scopriamo che è stata lei a insistere per i capelli effetto bagnato (vera tendenza del momento), commentando voglio essere unta.

L’ironia, la giocosità di un dietro le quinte molto familiare e scherzoso è forse il selling point di questo prodotto. Su Twitter si direbbe che Elodie, in questo senso, ha dato da mangiare, eccome.

Cosa c’è di vero in "Sento ancora la vertigine"

Personalmente ero curiosa di vedere "Sento ancora la vertigine" per capire un po’ di più che mondo gira attorno a Elodie, una cantante che nell’ultimo biennio ha avuto una fuga in avanti nella sua carriera da far sobbalzare. La risposta è: tutta la gente giusta è dentro alla miniserie, al suo fianco o dietro di lei. Elisa e Mahmood in sala prove e sul palco, Lorenzo Posocco (lo stylist di Dua Lipa, che dal 2019 ha fatto più o meno la stessa crescita esponenziale di Elodie in ambito internazionale) alla ricerca di due stilisti italiani e due francesi quattro uscite mai indossate prima, perché ora all’Ariston la posta in gioco modaiola è alta. Federica Abbate, una delle eminenze grigie autoriali di Sanremo, che dice a Elodie che la canzone la scrive immaginandosi lei, la sua voce, la sua testa.

Coreografo, insegnante di yoga, truccatore, manager, discografico: un team legato a doppio filo all’artista da legami che sembrano familiari. Tutte cose che, con un po’ di tempo e disposizione e le notifiche Instagram attivate, si potevano già intuire, ma vederle succedere su schermo con l’impressione di stare seduti nella stanza insieme ad Elodie, un po’ più a contatto della sua quotidianità, è più potente. È come sentire dire a Elodie a quattro mesi dal Festival che tutti stanno scrivendo per te, ascoltando poco dopo tre demo cantate dalle rispettivi autrici: forse lo sapevamo già, ma vederlo succedere fa tutto un altro effetto.

Elodie stessa nel documentario ammette di temere la sovraesposizione: cinque singoli in un anno, la partecipazione al Festival di Venezia da protagonista di un film presentato nella sezione Orizzonti, la notte della Taranta e il Pride di Roma, copertine, interviste, social. Se fosse stato girato cinque anni fa "Sento ancora la vertigine" sarebbe stato radicalmente diverso, perché Elodie era un’artista e una persona differente. Non ci sarebbe stata l’altezza faticosamente conquistata da cui sentire la vertigine. Cominciare il progetto proprio nei dodici mesi in cui Elodie ha concretizzato gli exploit che l’hanno definitivamente sganciata dall’identità di ex concorrente di Amici è stata una bella botta di fortuna.

Sento ancora la vertigine: cosa funziona e cosa no

Una fortuna che la miniserie riesce a capitalizzare solo in parte. "Sento ancora la vertigine" ha una bella produzione, immagini pulite e gradevoli con quel tanto di camera a spalla e girato precario da dare un’impressione di presa diretta e autenticità. Che vertigine ci voglia raccontare però non è chiarissimo. La linea temporale non è ordinata: saltiamo avanti e indietro nel tempo, da tre anni a due giorni prima che Elodie porti sul palco dell’Ariston "Due".

In teoria "Sento ancora la vertigine" vorrebbe raccontare la preparazione di un Sanremo a cui Elodie arriva da artista finalmente affermata… o forse il focus era l’anno in cui Elodie è si è definitivamente affermata con - come corollario - il Sanremo da preparare? Non è chiaro perché il principale difetto di questo prodotto è proprio non scegliere mai il taglio da dare alla narrazione. Non si prende una Elodie da raccontare allo spettatore, inoltre l’impressione è che in certe giornate topiche la telecamera non ci fosse o non fosse ammessa. Quindi si accontenta di raccontarci frammenti di Elodie privata e semi-pubblica, al lavoro o in prova, ogni tanto a riposo con la famiglia e gli amici del management.

Quel che è certo è che siamo lontani anni luce da un documentario vero e proprio, qualcosa che trascenda nettamente il fine promozionale, o quanto meno quello di uno storytelling organicamente creato rispetto a tutta la comunicazione dell’immagine di Elodie. Non siamo di fronte a un’operazione così sincera e intima da diventare quasi imbarazzante per la protagonista, come avvenuto per "Matangi/Maya/M.I.A" (2018) film documentaristico di Steve Loveridge che ha finito per cambiare la vita all’artista e al regista. Anni e anni di girato, un rapporto intimo e costante, un materiale praticamente mai supervisionato e filtrato dalla diretta interessata, fino a un risultato così intimo e personale da mettere quasi a disagio persino lo spettatore.

Nessuno dei prodotti recenti visti in Italia e all’estero pensati per il piccolo e il grande schermo e con protagonisti gruppi K-Pop, star nostrane e cantanti anglofone ha quel tipo di autenticità. Anzi: più che documentare alcunché, questi titoli sembrano più contribuire a una narrazione organica e crossmediale. Perché un certo tipo di artista musicale sente il bisogno di creare questo tipo di contenuti?

Elodie e gli altri: perché i musicisti si raccontano sulle piattaforme streaming

Cinque anni fa però di miniserie documentario sul dietro le quinte, il privato e il vissuto delle icone della musica pop italiana ce n’era pochissimi. Tiziano Ferro, Sfera Ebbasta, Laura Pausini, Mahmood ed Emma Marrone sono arrivati dopo, con l’esplosione delle piattaforme di streaming a pagamento nel nostro paese. Non è un fenomeno solo italiano, anzi: all’estero ci si muove anche più in grande.

Ancora ringrazio Selina Gomez che, per il lancio del doc autobiografico su Apple TV+ "Selena Gomez: My Mind & Me", convinse la piattaforma a regalare tre mesi di abbonamento a chiunque usasse il suo codice sconto. Tra serie, film ed eventi speciali per il cinema, c’è una sovrabbondanza di artisti musicali che raccontano sé stessi, anzi, si lasciano raccontare, nella loro vita privata e creativa. Capire il perché succeda non è semplicissimo.

Non bisogna sottovalutare il ruolo delle piattaforme di streaming, sempre affamate di contenuti con un pubblico già pronto a consumarli e diffonderli. Prendere icone pop e pagare loro il giusto cachet per avere quel tanto d’accesso da promettere ai fan uno sguardo un po più intimo sul loro idolo è un’operazione i cui benefici si spiegano da sé.

Questa spiegazione però non chiarisce perché una cantante come Elodie in un momento di così grande potere mediatico dovrebbe consentire a una troupe di filmare la festa di laurea della sorella minore. Probabilmente questo succede perché, per come è fatto il mondo della musica nel 2023, sottrarsi alla narrazione è impossibile. Il male minore è appropriarsene, con profitto e relativo diritto di veto.

Alcune figure musicali sono diventate simili a brand o ancor meglio, a franchise. Come i grandi personaggi della cultura pop di cinema e TV, devono rinnovare ed espandere il loro mito, creare una continuity narrativa che salti dalla musica alla TV, dai social all’occasione capatina in libreria, che male non fa. Questo tipo di documentari sono l’equivalente del ghost writer che scrive il libro verità sulla vita del vip o dell’influencer, con cui poi girare le sette chiese televisive durante le strenne natalizie.

Sarebbe miope però descrivere questo fenomeno come recente. Anzi, si può dire che, da quando la musica si racconta anche visivamente, il dietro le quinte della sua creazione è diventato appetibile, stuzzicante. Chi era adolescente negli anni ‘90 forse ricorderà che MTV a ogni lancio musicale importante non mancava di regalare una mezz’oretta di MTV Making of the Video, subito prima o subito dopo una passata sul balcone di TRL.

Da quando il valore economico della fruizione e della vendita della musica è cambiato, si è dovuto capitalizzare anche su altro, rivoluzionando sia il mondo della musica dal vivo, sia il ruolo del musicista, più o meno costretto ad essere anche altro. Unendo questa esigenza a quella, quasi universale, di avere una presenza social come persona “vera” che ogni personaggio dello spettacolo vive oggi, una miniserie come Sento ancora la vertigine diventa quasi ovvia.

Elodie è l’esempio perfetto di questo nuovo modo di percepire un cantante, dato che è stata raccontata nel suo personale e nel suo dietro le quinte sin dalla sua partecipazione ad Amici.

La musica non basta più a raccontare chi la fa, almeno in ambito mainstream. O almeno ci si può illudere di questo, ignorando come anche lontano dalle major si registri la medesima tendenza, in forme diverse, più sottili. Se una cantante che apprezzo mi viene raccontata in come si prepara alla performance e in come vive la sua quotidianità sin dal nostro primo incontro, perché una volta raggiunto il successo a me ascoltatore e spettatore dovrebbe bastare la musica e basta? Voglio il gossip, voglio il dietro le quinte, voglio le foto social e lo storytelling. In altre parole la studiata sensazione di essere in consonanza, in intimità con una dimensione vera e intima dell’artista: una sensazione che una voce su una traccia audio oggi faticano a regalare.

Dove vedere Sento ancora la vertigine? Prime Video

Quanti episodi ha Sento ancora la vertigine? 3 episodi da circa 30 minuti l’uno

Quando è uscita Sento ancora la vertigine? 2023


(Articolo originale su Rockol.it)

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